Al Teatro Caboto di Milano fino al 17 febbraio prossimo, la Compagnia Stabile Teatro Caboto, con la consulenza storico-letteraria di Andrea Bisicchia, presenta Il processo, tratto dal romanzo di Franz Kafka. Gli interpreti sono Gianluca Frigerio, Giuseppe Marotta, ciro Coipriano, Raffaele Pato Digioia e Fabrizio Spica. "Qualcuno doveva aver diffamato Josef K. perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato". Sono le prime parole del celebre romanzo che Franz Kafka scrisseintorno al 1915, anno in cui l'autore vinse il suo primo premio letterario. Nato a Praga nel 1883 da famiglia benestante, Kafka divenne famoso soltanto dopo il 1930 e, negli anni '50 giunse il suo trionfo: pensare in modo 'kafkiano' divenne una moda che influenzò gli intellettuali di tutta Europa e degli Stati Uniti. In Germania, a causa del nazismo (Kafka era ebreo), rimase a lungo sconosciuto. Peccato che l'artista, a lungo malato di tubercolosi, morì il 3 giugno 1924 senza mai sapere quanto il suo nome divenne importante per la letteratura classica del Novecento.
L'adattamento per il teatro di questo piccolo capolavoro letterario è opera di Anna Battaglia, che ne cura anche la regia. Anna Battaglia ha vinto il Premio Fersen nel 2007 per un'opera di drammaturgia, è pure attrice, scrittrice e pittrice. Non vuole che si sappia ma l'artista è pure laureata in giurisprudenza e iscritta all'Ordine degli Avvocati. Per questo gli aspetti grotteschi della giustizia, descritti da Kafka per far divertire gli amici nelle birrerie di Praga, l'hanno affascinata. Anna ha voluto addolcire la storia con una messa in scena che sa di circo, con giudici deliranti, funzionari corruttibili e corrotti, cancellieri negligenti e altro ancora. Tutto potrebbe essere solo un sogno o meglio un incubo; i brani musicali di accompagnamento, molto piacevoli, sono di un artista russo, Vladimir Vysotsky, provengono dal CD 'Il Volo Interrotto' e li ha scelti ancora lei, la regista con cui abbiamo parlato.
Come mai hai scelto di dirigere Il Processo di Kafka?
La mia visione profondo del Processo viene anche dalle esperienze professionali. Si è sempre detto quanto questo testo fosse metaforico, allegorico, invece Kafka descrive con estrema lucidità un tribunale e lo fa in modo preciso. Come quando dice che gli avvocati si vantano di conoscenze personali, che spariscono dei fascicoli o l'arroganza dei giudici, che si sentono detentori di vita e di morte e di chi crede di avere già la sentenza in mano... Sono tutte cose reali.
Vuoi dire che non sarebbe soltanto frutto di fantasia?
E' molto meno metaforico, più realistico di quanto non si voglia credere. Kafka aveva conoscienza di cose pratiche come solo un avvocato, tra l'altro un penalista, può sapere. Ho voluto immaginare che ci fosse una specie di Paolo Villaggio che racconta le vicende di Fantozzi, con una rappresentazione completamente diversa ma comunque onirica, mettendo dei personaggi che lui incontra nella storia, molto, molto grotteschi. Secondo me, attraverso il personaggio del signor K., Kafka è stato vittima e carnefice di se stesso e il suo modo di raccontare una realtà è colma di straordinaria lucidità.
Quindi non segui esattamente la storia del romanzo?
No, ma ho cercato di strutturare il modo in cui esiste un tribunale anche rispetto a quanto avviene oggi. Kafka dice tutto quello che sta succedendo anche oggi, nulla è cambiato! Noi non possiamo sapere come fosse la realtà giudiziaria in Cecoslovacchia ai tempi di Kafka, ma certo riconosco i comportamenti: che si rubino fascicoli, che si corrompi, che si spii... e l'atteggiamento dei giudici, supponenti e arroganti, come il dio dal potere assoluto.
Che effetto fa?
Pongo l'accento su una cosa importante: cosa succede nella vita di uno che, divenuto imputato senza aver nulla commesso? Ti cambia la vita poiché il sospetto è più forte di ogni verità e in un attimo la vita di una persona per bene è spazzata via. Vedo un incubo, ecco perché la scelta della regia onirica. Kafka non ha inventato nulla, per me: descrive queste cose in modo speciale. La messa in scena è un po' circense e il grottesco di questi personaggi che il signor K. incontra è in risalto. Nessuno pensi di vedere la trasposizione del romanzo classico, anche se vengono mantenute la letteratura, le suggestioni e gli ambienti, Perché la scrittura per me è molto forte e molto belle. K parla in terza persona.
Come hai trovato gli attori giusti?
Non è stato facile e ho fatto molti provini ma, per esempio ho scelto un vero prestigitatore per il ruolo dell'illusionista-avvocato. Poi c'è una guardia che esce dall'armadio e dai cassetti, a rappresentare l'invasione di chi compie gli arresti, della polizia giudiziaria. Ti mettono sottosopra tutto, mettono mano nelle carte, negli indumenti intimi, e l'avvocato è un pagliaccio, un altro è un prestidigiatore, un imputato diventa un coniglio. Tutto è ironico, grottesco, tutta un'altra cosa e spero venga accettato, anche se chi vuole le rappresentazioni classiche potrebbe non sentirsi soddisfatto. Ma per fare cose nuove bisogna saper rischiare.
Ma tu chi sei?
Sono nata a Reggio Calabria nel maggio '75, poi ho fatto l'università a Bologna, poi a Milano, sono stata a Berlino e ora vivo qui da sei anni. Al momento sto lavorando su un progetto multimediale e allo stesso tempo sto trasformando la mia stanza in una Art Room. Ho già fatto due sgabelli e un tavolino e un tavolo grande con sopra la televisione, tutto con materiale di riciclo e materiali strani. Sinceramente non ho nostalgia del sud, a differenza di molti con cui parlo. A me piace stare qui, è la città delle opportunità e basta saperle cogliere. Stare male o bene dipende solo da noi, non dalla città.
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